(1901-1985)
Rachele Zanchi, in arte Giovanni Giuliani, è un’artista bergamasca che in modo istintivo giunge all’astrazione dell’Io compiendo, attraverso la pittura, una scrittura rapida sulla tela: nascono le “impressioni-paesaggio”1, bagaglio culturale dei suoi numerosi viaggi nei luoghi dell’Italia Meridionale trasfigurate dalla fantasia compiendo un’operazione analoga a quella promossa dall’artista Tancredi Parmeggiani che definisce i suoi quadri “paesaggi di spazi”, dove lo spazio del foglio diviene emblema di luoghi generati dall’immaginazione.
L’uso del colore sembra portare lo spettatore a compiere un’indagine introspettiva ed emozionale, che evoca i “moti dell’animo” di leopardiana memoria: da un primo esame visivo dell’opera, quasi distaccato a causa della percezione ottica che crea uno spazio fisico fra il sé e il quadro, si discende nelle profondità intime dell’animo umano. Giuliani trasmette il sentimento tracciando sulla tela stati d’animo differenti da lui stesso provati: i colori bruni, le ocre che sfociano nell’oro si alternano a colori freddi; composizioni sobrie ed efficaci sono intercalate ad altre intuitive e cariche di pathos. L’artista non vuole fermarsi ad un sentimentalismo banale, ma attraverso la scomposizione e la resa astratta di immagini figurative, giunge alla profondità delle cose. «Giuliani si è liberato da una forma particolare, comune, per giungere alla Forma. Vuol possedere in sé l’oggetto, aderire ad esso in una comunione poetica che poi esprime coi mezzi conquistati di una libertà fantasiosa e pittorica, e non vederlo nella sua immobilità oggettiva, termine medio, obbligato, di passaggio, per cui si trasmette un’emozione»2.
Emilio Villa nella lettura delle opere di Capogrossi identifica il segno utilizzato dall’artista come lettera propria dell’alfabeto, come grammatica su cui si fonda una precisa scrittura3, così i segni tracciati da Giuliani nello spazio della superficie pittorica sono trattati secondo infinite variabili (di tratto, di colore, di relazioni con lo spazio). Il disegno, nella particolarità del segno, emerge dall’inconscio atavico dell’artista per trasmettere l’idea della forma.
Forme sospese nello spazio, raggruppate secondo una verticalità da cui si innestano pochi elementi orizzontali, che esortano il pubblico a prendere una direzione senza indicarla, propongono un’analisi senza fornirla.
La Colleoni Proposte d’Arte rende omaggio ad un’artista che ha saputo interpretare i linguaggi più avanzati del contemporaneo e che ha esposto tra la fine degli anni Cinquanta e Settanta presso la Galleria de Il Milione, considerata importante punto di riferimento per l’avanguardia italiana ed internazionale e presso la Galleria Delle Ore, solo per citare alcuni esempi.
Selene Carboni
Critica d’Arte