FERNANDO PICENNI

E’ nato a Bergamo nel 1929.
I primi approcci con la creatività sono poetici: non ancora ventenne una sua poesia intitolata Il male è pubblicata sul quotidiano “L’Eco di Bergamo”. Da allora, del resto, l’artista non cesserà mai di scrivere versi, spesso dialoganti con le sue opere pittoriche, che da quelle poesie attingeranno titoli sognanti. Comincia a dipingere giovanissimo, affascinato dalle forme naturali (“Avevo un vivo desiderio di tentare in pittura la traduzione cromatica dell’emozione poetica. Erano prove libere, subito avviate a cercare segni e immagini di abbandono lirico”)

Nel 1952 conosce Pinuccia, sua inseparabile compagna, che sposerà nel 1965. Nella seconda metà degli anni Cinquanta approfondisce sempre più febbrilmente il suo rapporto con la pittura, che lo porterà a dedicarsi interamente all’arte nel 1959. Sono gli anni della frequentazione del Bar Giamaica, dell’attrazione per Sironi e per la sofferta ricerca plastica Nicolas De Stael (“sono sempre rimasto folgorato dalla luminosa solitudine dei suoi spazi”).

Tra gli artisti della sua generazione frequenta Emilio Tadini (“che a quel tempo era principalmente un coltissimo critico”), Piero Manzoni (“Mi sembrava un muratore, con i suoi vestiti militari, l’aria modesta e semplice, che non lasciava emergere di certo l’idea di un intellettuale: misteri delle apparenze!”), Enrico Castellani, il (“concitato”) Tancredi e stringe una profonda amicizia con Gianfranco Ferroni, Dadamaino e il filosofo Sossio Giametta, erede culturale di Giorgio Colli e Mazzino Montinari nella sistemazione del corpus dell’opera di Nietzsche. Picenni ricorda di Ferroni il carattere in bilico tra il pauroso e l’irascibile (“Meno pauroso di me, ma più irascibile. Mangiando insieme all’umile Ristorante Fiorino mi disse: – Tu Fernando, hai un rispetto sacro dell’essere umano. Ho cercato di ricordarmelo in tutti questi anni. Dadamaino? Non parlava mai del suo lavoro. Ma lavorava, eccome, senza chiacchiere. Fu lei a mandarmi da Fontana nello studio di Corso Monforte”).
Già nell’ultimo scorcio degli anni Cinquanta Picenni ha identificato un suo inconfondibile stile, nel quale una rapida pennellata sfugge all’oscuramento della superficie (“Sì, impostando immagini ferme, corpose, quasi monocrome, emergenti e solitarie”).