SONIA CISCATO

(1942-2014)

L’intero percorso artistico di Sonia Ciscato si può configurare come una lunga, tormentata ricerca sul tema del corpo. Non si tratta di una semplicistica adesione ad un oggetto, o di una scelta ”di maniera”, ma di una vera e propria recherce, volta a indagare attraverso soluzioni stilistiche differenziate nel tempo quello che è l’archetipo della vita, della creazione, del dolore e della pienezza esistenziale. La frequentazione a Brera dei corsi di scultura tenuti da Marini e Cavaliere imprimono a questa ricerca la necessità di rendere attraverso la materia pittorica l’urgenza della massa e dei volumi; la presenza fisica e percepibile del corpo abita la tela e cerca di forzarne i confini. Successivamente, nel breve periodo di adesione all’informale, la sperimentazione di inediti materiali – sabbie, colori, pigmenti, ori – assume il valore di un’esperienza liberatoria, che consente di esprimere il proprio impulso creativo scavalcando i limiti delle convenzioni sino ad allora vincolanti. Si tratta, però, di arco di tempo che copre solamente gli anni dal ’62 al ’64: i lavori di questo periodo, che hanno di volta in volta un aspetto sobrio e slavato o ricco ed impreziosito, sono avvertiti dall’artista nel loro valore di sperimentazione, senza che vi sia una adesione totale a questo filone. Il rischio della maniera, di scivolare in una produzione non sentita, non partecipata, in cui l’aspetto dell’esecuzione era più legato ad una componente mentale che non di passione e sentimento, fa riemergere, ancora più violentemente, la necessità di ritornare al corpo, alla forma, alla riflessione ed all’introspezione. Solo al corpo è dato di contenere in s‚ la totalità della vita: il corpo comunica, proietta all’esterno la sensibilità altrimenti destinata a restare nascosta, il corpo è oggetto e soggetto della società, decreta la morte e la subisce, infligge sofferenza e la raccoglie, regala gioia e la riceve. A tutto ciò non è estranea l’influenza di Bacon, di cui Sonia Ciscato ha modo di vedere direttamente le opere subendone il fascino, con una sindrome di Stendhal che ha quasi il carattere di un’illuminazione, di una riconferma che la ripaga della solitudine della sua ricerca. Sfaldati, distrutti, ricomposti, i corpi accolgono dentro di s‚ ed intorno a s‚ la sensibilità che l’artista ha affinato nei confronti delle scelte materiche e cromatiche. I colori e la loro stesura sulla tela acquistano sostanza, tono e spessore grazie ad un colloquio sensibile ed immediato con l’idea che sono chiamati ad esprimere. La scelta infine del formato quadrato è anch’essa legata al corpo: in questa dimensione del supporto, infatti, la fisicità delle forme diventa il perno centrale introno al quale si costruisce l’opera: nel quadrato il corpo lievita, esprimendo il proprio pieno trionfo. Giovanna Brambilla Ranise

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